Come in numerosi altri siti della Valle Camonica anche dove sorge attualmente parte del vecchio centro storico
di Breno sono state rinvenute delle antichissime incisioni rupestri. Queste sono state scoperte, studiate e rilevate
nelle località Case Brusate e Lavarino. Si presume dunque, anche a causa della conformazione geologica della
Valle Camonica in quel punto, che fin dall'antichità il luogo fosse non solo frequentato, ma anche abitato, dagli
antichi Camuni, forse appartenenti al ceppo Ligure, poiché la loro presenza è attestata da questi ritrovamenti
che sono risalenti all'età Paleolitica. Questi antichissimi insediamenti sono comprovati anche da alcuni
significativi reperti come delle tombe a inumazione contornate da corredi ceramici e di bronzo dell'età
Golasecca, ma sono anche presenti asce ed alcuni oggetti databili all'Età del Bronzo (dunque ben antecedenti
all'età del ferro). Breno dovette restare comunque un piccolo borgo o un semplice gruppo di cascinali fino
all'epoca romana. La presenza dei Romani comunque è accreditata da alcune epigrafi e dalle recenti (e
importanti) scoperte di un tempio dedicato alla dea romana Minerva, in località Spinera. Fino al primo medio
evo questa zona della Valle Camonica, pur essendo punto obbligato di transito, non dovette rivestire particolare
importanza commerciale o strategica anche se sulla collina dominante il borgo doveva essere presente un
castelliere o un punto di osservazione e sorveglianza. Furono i Longobardi prima e i Franchi poi a concentrare
in questo luogo, il più elevato della zona e posto tra scoscese rupi e il fiume, dominando il passaggio obbligato
tra la bassa e l'alta Valle Camonica, delle barriere artificiali di notevole rilevanza militare con la costruzione,
prima di alcune fortificazioni (muraglioni e terrapieni) e poi di un castello. In epoca Carolingia Breno, cresciuto
di importanza, divenne il capoluogo dell'intera Valle Camonica e incominciarono a essere operativi, nel grosso
borgo ai piedi della rocca, ora composto da grandi edifici e varie abitazioni civili che accoglievano i burocrati e
i funzionari, quegli uffici e quegli ambiti giudiziari e amministrativi sovracomunali che prima erano situati, fin
dal tempo dei Camuni e dei Romani, nella prima capitale amministrativa della Valle: Cividate Camuno (Civitas
Camunorum). Gran parte della Valle Camonica fu, direttamente da Carlo Magno e dai suoi successori,
assegnata in beneficio ai monaci francesi del monastero Tours (che ottennero con varie e successive donazioni
vasti e importanti privilegi in tutta la Valle). Questi religiosi furono anche i fondatori di numerose chiese ed
edifici religiosi tra cui a Breno eressero la cappella dedicata al loro patrono San Martino e ad Astrio, sulla
strada che porta al passo di Crocedomini, quella di San Maurizio. Nei primi documenti ufficiali che citano il
paese di Breno e che compaiono negli archivi locali viene descritto, nel 1157, l'intervento pacificatore del
vescovo di Brescia Raimondo che cercava di derimere un furioso contrasto che da anni aveva contrapposto le
comunità di Breno a quella di Niardo che si contendevano lo sfruttamento e la proprietà di alcuni terreni
alluvionali che erano posti sulla riva destra del fiume Oglio e a confine tra i due borghi. La prima famiglia che
ottenne privilegi e dispense a Breno fu quella antica e nobile dei Mettifuoco che nel 1186 quando il vescovo di
Trento, competente per vasti territori camuni, la infeudò in numerose proprietà e benefici. Nel 1198 la famiglia
di origine camuna dei Ronchi fu a sua volta investita del diritto di decime e di altre proprietà dal vescovo di
Brescia, che aveva ottenuto, pochi anni prima, la signoria sulla Valle col titolo di Duca di Valle Camonica. Il
fiume Oglio, lungo tutto il suo percorso, è sempre stato, nei secoli, protagonista di tragici straripamenti e di
devastazioni dovute a piene improvvise e violente: all'inizio del 1200 un'alluvione catastrofica distrusse
completamente tutte le case poste in località Omera tanto che se ne persero completamente le tracce. Solo
ricerche recenti collocano questa località, ora inesistente, nella zona scoscesa posta sul lato sud-ovest del paese,
alle pendici della rupe su cui sorgeva il castello. La devastazione fu tale che numerosi uffici vennero trasferiti a
Montecchio che divenne, per un breve periodo, la capitale amministrativa della Valle. Il '200 e i due secoli
successivi furono scanditi un poco ovunque (anche in valle Camonica) da una serie infinite di guerre e
scaramucce belliche che ebbero notevoli, ma mai durature, ripercussioni anche politiche sulla storia della Valle,
di Breno e del suo importante castello. Nel 1291 in Valle Camonica fu imposta la reggenza di Ottolino da
Cortenuova che il duca di Milano, Maffeo Visconti, aveva nominato con la dichiarata volontà di porre pace
duratura tra le fazioni in perenne e sanguinosa contesa. In realtà il Visconti approfittò della sua posizione di
giudice e arbitro per espandere il suo dominio personale e favorire nettamente il partito ghibellino (con a capo
la famiglia dei Federici) che si opponeva alla parte guelfa (con a capo la famiglia dei Nobili di Lozio) che faceva
riferimento alla curia di Brescia e ai suoi vescovi che a loro volta si opponevano allo straripante potere di
Milano e dei suoi signori che volevano appropriarsi delle numerose valli bresciane, bergamasche e della vicina
Svizzera. Nel 1312 l'imperatore Enrico VII nominò Vicario di Valle Camonica il famoso Cangrande della Scala,
signore di Verona. Pochi anni dopo il potere ripassò al Visconti, che con la forza dovette riprenderselo dagli
Scaligeri che volevano ampliare la loro signoria a discapito proprio di Milano. I Visconti mantennero la loro
presenza (militare e amministrativa) per un certo significativo periodo di tempo, anche se non ininterrottamente
e con alterne fortune. La loro Signoria, pur di netto stampo medioevale, raggiunse una certa popolarità anche
per la loro politica di ingraziarsi le maggiori famiglie camune, con benefici, favori e premi anche in denaro.
Nonostante queste azioni e regalie, e forse proprio per questi motivi e favoritismi, si acuirono ancor più le
tensioni e le lotte fra guelfi e ghibellini della Valle Camonica e molti ma inutili furono i tentativi di pacificazione.
Il famoso giuramento al ponte Minerva, alle porte di Breno, l'ultimo giorno dell'anno 1397, vedeva presenti, a
testimonianza di buona volontà e desiderio di pace tra tutti i Camuni, i nobili, i notabili, le varie famiglie
nobiliari con i loro "garzoni" e i rappresentanti dei comuni di tutta la Valle Camonica. Fu il consesso di pace più
importante, più noto e celebrato della lunga storia della Valle Camonica, ma fu quasi completamente inutile,
poiché le scorribande, le lotte, le faide, le vendette e i soprusi continuarono. Per un breve e transitorio periodo in
Valle si estese anche la signoria di Pandolfo Malatesta che, nelle sue azioni belliche, fu appoggiato dalla
famiglia brenese Ronchi ma nel 1419 tutta la Valle Camonica ritornò sotto la signoria dei Visconti. Non
passarono molti anni e nel 1427 i milanesi furono cacciati (una prima volta) dalla valle e dal castello di Breno
dal noto condottiero di manzoniana memoria: il conte di Carmagnola, che occupò tutte le fortificazioni della
zona e anche lo stesso castello di Breno. Per la prima volta sventolava sul più importante bastione difensivo
della Valle Camonica la bandiera con il leone di San Marco della Serenissima Repubblica Veneta. Di nuovo nel
1438 Pietro Visconti, alla testa di nuove truppe del ducato di Milano, si rimpossessò di quasi tutta la valle. Il
castello di Breno, nel frattempo rinforzato con nuove mura, una più numerosa guarnigione e nuovi armamenti,
pur isolato, resistette a lungo, per cedere solo dopo un lungo assedio. Dopo due anni, nel 1440, la rocca passò
nuovamente di mano e la nuova guarnigione milanese fu sopraffatta, in un nuovo assedio, dalle truppe guidate
da Pietro Avogadro che era al servizio della Repubblica Veneta. Ma non era finita: nel 1453, 13 anni dopo,
ricaduto per un breve periodo ancora una volta in mani milanesi, venne preso d'assalto dalle schiere venete che
erano state rinforzate da numerose "Cernite" (truppe bresciane assoldate nelle nuove terre conquistate da
Venezia) che ricevettero il battesimo del fuoco proprio all'assedio del castello. Questa volta alla guida delle
truppe della Serenissima vi era il più famoso condottiero del tempo: il bergamasco Bartolomeo Colleoni, che era
stato nominato solo poco tempo prima "Comandante in capo degli eserciti veneti", al posto del Carmagnola
(che era stato giustiziato su ordine del senato veneto accusato di presunte accuse di tradimento e collusione con
il signore di Milano Filippo Maria Visconti che era anche suo parente, dato che aveva sposato Antonia Visconti).
L'anno dopo (1454), la pace di Lodi tra la Serenissima Repubblica Veneta e il Ducato di Milano che ora era sotto
la signoria degli Sforza, sancì definitivamente il passaggio di tutta la Valle Camonica (e delle altre valli
bresciane) sotto Venezia. Dopo gli innumerevoli assedi, le distruzioni totali o parziali e le nuove provvisorie cinte
difensive, il castello e le sue mura erano in stato tale da non poter sostenere nuovi assalti e così a rafforzare le
strutture esistenti e a restaurare quasi completamente la fortificazione turrita del castello e delle mura, fu
inviato, dal Consiglio Grande di Venezia, l'ingegnere Giacomo da Gavardo. Malgrado la struttura possente e
alcune importanti modifiche difensive, all'avanguardia per l'epoca, dopo la temporanea occupazione francese
all'inizio del 1500, toccò al brenese Vincenzo Ronchi riconquistare per l'ennesima volta (e ultima) il castello per
conto di Venezia. Seguì un lungo periodo caratterizzato da una certa stabilità e da una relativa calma sociale ed
economica, che la moderna (per quei tempi) politica di Venezia favoriva. Purtroppo le grandi, lunghe e
costosissime guerre che la città lagunare doveva sostenere (quasi completamente da sola) in medio oriente e nei
Balcani, contro i turchi (che giunsero fino alle porte di Vienna, minacciando anche da nord-est la terraferma
veneta) per mantenere i propri privilegi commerciali in quella vasta area, portarono ad un notevole aumento
delle tasse ma anche (creando posti di lavoro) allo sfruttamento intensivo delle miniere con le numerose fucine e
forni fusori e dei boschi con le segherie che divennero l'asse portante dell'economia industriale della Valle
Camonica. Breno in quel periodo era la capitale della Valle Camonica e centro amministrativo e di giustizia. A
Breno risiedevano tutti gi uffici distrettuali e aveva sede il "Capitanio di Valle Camonica" che era la massima
carica poilitico-amministrativa valligiana che dipendeva direttamente da Brescia e da Venezia. Riportata in
numerosi testi dell'epoca, va ricordata la storica visita pastorale in Valle Camonica, con tappe in ogni borgo, di
Carlo Borromeo, cardinale di Milano, che facendo a Breno la sosta più lunga vi soggiornò dal 29 agosto al 2
settembre 1580. Con l'avvento di Napoleone (1797) Breno, mantenendo il primato valligiano, Breno venne
nominato (per breve tempo) capoluogo del cantone della Montagna (che comprendeva gran parte della Valle
Camonica) e in concorrenza con Lovere, in terra bergamasca, fu in questo periodo, il principale centro
commerciale e amministrativo della zona. Fu dopo il ciclone Napoleone che sotto l'Austria prima e con l'unità
d'Italia poi, Breno ridivenne (come in epoca Veneziana) importante sede di uffici distrettuali: fu sede di
tribunale, di circondario e addirittura di sottoprefettura. Fu il periodo di massima importanza della cittadina che
vide aumentare in modo consistente i propri abitanti anche a causa del notevole afflusso di dipendenti pubblici e
burocrati che venivano designati o nominati nelle sedi camune. Vennero edificati o ristrutturati alcuni grandi
edifici che furono destinati ad accogliere i vari uffici che trattavano e esplicavano molte delle pratiche
burocratiche e giudiziarie che prima dovevano essere svolte o risolte a Brescia o a Bergamo. Nel 1887 fu
costruita in comune di Breno la prima centrale elettrica della Valle Camonica (in Europa preceduta solo da
quella di Milano). Durante il ventennio fascista, per ordini centrali, per rendere operativa una efficiente
razionalizzazione amministrativa vennero aggregati numerosi piccoli borghi per formare più consistenti centri
accorpando molti uffici comunali. Molte volte questo accadde anche senza tenere conto della storia, del passato
e delle caratteristiche dei singoli piccoli paesi, e così a Breno vennero aggregati, a partire dal 1927, i paesi
confinanti di Niardo, Braone e Losine. Qualche anno dopo la liberazione, nel 1949, tutti questi piccoli borghi
riacquistarono la loro autonomia amministrativa. A partire dagli anni 50 e 60 a Breno furono resi operativi
numerosi istituti scolastici superiori (liceo, magistrali, IPSIA). Dagli anni 90 Breno ha iniziato a subire un lento
declino economico a favore di altre cittadine della Valle Camonica, specialmente Darfo Boario Terme, ma
rimane centro, oltre che come polo scolastico, anche di numerosi uffici pubblici come: Pretura, comando
Compagnia CC, comando Brigata di Guardia di Finanza, comando Forestale, sede Comunità Montana, sede
BIM (bacino imbrifero montano), Parco dell'Adamello, Ecocamuna (società raccolta rifiuti), ASL, ecc.
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