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Borno: LA STORIA



Molto numerose e bellissime sono le incisioni rupestri e alcuni siti antichissimi rinvenuti su tutto il vasto altopiano bornese a dimostrazione che l'altopiano stesso (forse per la sua magnifica posizione) e per gli importanti sentieri e le strade che da esso passavano erano frequentati fin dai primordi e che la zona era abitata già in epoca preistorica. Curiosamente alcune incisioni sono state scoperte (meglio: ritrovate) anche su dei massi che erano stati usati, in epoche diverse, per costruire o ristrutturare, anche in tempi recenti, delle abitazioni o dei muri di sostegno nel centro storico. In via monte Grappa sono chiaramente visibili una serie di "alabarde preistoriche" incise su un masso che è inglobato in una recente ristrutturazione e che solo per caso fu osservato da uno studioso che ne datò la lavorazione ad epoca preistorica. Scoperta particolarmente importante e significativa fu il ritrovamento di una incisione in cui compare la figura della dea dell'abbondanza "Alautedoba" e questo ribadisce ulteriormente come la zona fosse frequentata e abitata già in epoca antichissima. Sempre sull'altopiano bornese ma in comune di Ossimo, recentemente sono stati effettuati scavi in siti che erano adibiti a luoghi di culto pagano risalenti ai primordi dell'umanità a testimonianza precisa della presenza dell'uomo nella Valle Camonica nella notte dei tempi. Le campagne di scavo proseguono anche attualmente (durante il periodo estivo) e sono seguite con passione ed entusiasmo dal prof. Gian Carlo Zerla (noto pittore) che fu anche lo scopritore di altri importanti massi istoriati (leggere le pagine della storia di Ossimo). Nel 1958, durante degli scavi per la realizzazione di una strada e di un muro di sostegno, fu scoperta una piccola ma ben conservata necropoli di epoca romana. Furono ritrovate, nello stesso scavo, anche nove epigrafi poste per ricordare i defunti sepolti. Questo attesta l'importanza strategica e militare di Borno che fin da epoca pre-romana fu certamente un nevralgico nodo di transito per la Val di Scalve. Questa posizione sul confine naturale tra due valli (Camonica e Scalve… e per secoli anche politico: tra due popoli i Camuni e gli Scalvini) fece in modo che Borno fosse, anche in epoca romana, un sito fortificato, forse una stazione militare, con postazioni fisse e stabili e fosse punto di passaggio obbligato per due dei principali tronconi laterali dei sentieri e mulattiere camune che confluivano poi nella Via Valeriana ed erano di collegamento con valle Scalvina che era particolarmente ricca di minerali ferrosi e che fin dall'antichità produceva manufatti nell'importante metallo. Una prima documentazione ufficiale dell'esistenza di un ricco e libero comune è attestata da un atto ufficiale datato 1019. Questo atto è estremamente importante e significativo come primo documento scritto in lingua volgare ed è stato ripreso in numerosi e interessanti studi sulla Valle Camonica. Con questo atto si cercava di portare a soluzione e anche regolamentare (inutilmente) una secolare lite tra gli abitanti della Val di Scalve e quelli di Borno per l'uso di alcuni vasti pascoli che si estendevano sulle pendici del monte Nigrino o Negrino (Mùt Nigrì) e che erano posti sul (contestato) confine che correva tra l'altopiano Bornese e la stessa Val di Scalve. Le vicende legate a questa antichissima diatriba raccontano di innumerevoli liti, contese e risse che degeneravano regolarmente in numerosi scontri, anche cruenti e feroci con vittime, lutti e feriti da entrambe le parti, ma il possesso e l'uso di quei territori adibiti a pascoli (ora completamente abbandonati o forestati) era considerato, sia dai Bornesi che dagli Scalvini, di estrema importanza per l'allevamento e il sostentamento del numeroso bestiame e per quell'economia rurale su cui si appoggiava gran parte della sopravvivenza delle popolazioni montane. Durante il periodo medioevale, negli annali della secolare storia di Borno, sono ricordate altre lunghe e durissime contese che sorsero con altri comuni vicinori: con Lozio nel 1156 sempre a causa dello sfruttamento estivo di alcuni pascoli e per il passaggio delle mandrie che si recavano agli alpeggi estivi e con Esine nel 1168, per l'arginatura del fiume Oglio con delle grandi barriere, in legno e terriccio, che, erette per creare protezione dai numerosi e devastanti straripamenti e dalle continue piene, facevano però in modo che la corrente erodesse, scalzasse ed invadesse i terreni della sponda opposta. Con la costruzione di queste alte barriere sulla sponda destra (comune di Borno) le impetuose e non regimentate acque dell'Oglio tendevano a straripare sulle terre dell'altra riva (comune di Esine), allagandole e rendendole poco fertili . Ora i comuni di Borno ed Esine, dopo la creazione del comune di Piancogno non sono più confinanti ma per molti secoli il territorio comunale bornese si estendeva fino a coprire per un lungo tratto la sponda destra del principale fiume camuno. Per molti anni anche questa contesa, con ricorsi a jureconsulti e giudici ma anche alle autorità religiose e politiche di Brescia, rimase aperta e si concluse solo il secolo successivo con un accomodamento che scontentava tutti. Nel 1146 il vescovo bresciano Manfredo consacrò a Borno la imponente chiesa, che era stata eretta su una collinetta su cui in precedenza doveva esserci un altro edificio religioso a sua volta costruito sulle macerie di un antichissimo castellatico del periodo ligure-celtico o di un tempietto di epoca romana. L'edificio religioso fu dedicato ai Santi protettori Giovanni Battista e Martino ed esattamente quaranta anni dopo, nel 1186, fu ufficializzata la separazione dall'antica Pieve di Cividate che, tra le prime della Valle Camonica (con Rogno ed Edolo), fino ad allora si estendeva su un vasto territorio e comprendeva almeno una ventina di altre parrocchie. Malgrado il famoso e solenne trattato del 1019 (di cui si è accennato prima) per almeno altri tre secoli erano continuate le lotte tra Bornesi e gli Scalvini. Per cercare di sedare e sanare questi contrasti (che avevano portato anche a omicidi e faide terribili) furono chiamati i ghibellini Federici che nel 1318, intervenuti per proporre e far applicare una tregua approfittarono dell'occasione per insediarsi come "signori" anche a Borno, costruire delle abitazioni fortificate a cavallo della strada che conduceva al confine e farsi infeudare nelle terre dell'altopiano e riscuotere le decime e i balzelli. Anche per questo motivo il libero comune di Borno invocò, dopo che la Serenissima Repubblica Veneta aveva esteso il proprio dominio sull'intera valle Camonica, un intervento diretto del capitano di Valle: il conte Lana. Anche il delegato veneto, malgrado i richiami e le convocazioni ufficiali a Breno, però ben poco riuscì a ottenere e nel 1464 dovette intervenire personalmente, anche se ancora con scarsi risultati tanto che nel 1498 i rappresentanti del comune, rimasti insoddisfatti della mediazione dalle gerarchie valligiane, e mal sopportando le continue prepotenze dei "siori" e dei loro famigli, ebbero direttamente forti e violenti scontri (e non solo verbali) con gli stessi Federici. Questi, appartenenti ad uno dei tanti rami in cui si era divisa questa potente e prolifica famiglia camuna, già nel 1413 erano stati riconfermati feudatari da Giovanni Maria Visconti con giurisdizione anche sulle terre di Borno. Il motivo principale per cui originariamente erano stati chiamati a Borno i Federici non si era certo appianato e le contese con la Val di Scalve non si erano certo sedate, anzi erano addirittura cresciute di intensità e violenza, tanto che ancora nel 1500 i rappresentanti del comune furono più volte convocati a Breno (allora centro amministrativo della Valle Camonica) dai rappresentanti della Repubblica veneta per cercare di porre fine alle non sopite liti per il possesso e specialmente per l'uso dei pascoli. Questi siti erbosi, "rubati" ai boschi con duro lavoro e grandi difficoltà, in quei secoli in cui la pastorizia era la principale fonte di sostentamento nelle valli alpine, erano estremamente importanti per i numerosi allevamenti di bestiame grosso e minuto che facevano di Borno il centro a più alta concentrazione di capi d'allevamento dell'intera Valle Camonica e forse di tutte le valli bresciane e bergamasche. Risale al 1518 il fatto più grave tra i numerosi che per secoli avevano accompagnato la storia delle lotte tra Borno e la Val di Scalve: una leggenda, ricordata anche da un dipinto conservato nella chiesetta della Dassa, narra che gli Scalvini, con uno stratagemma, legarono delle piccole fascine di legna secca e degli sterpi, a cui avevano appiccato il fuoco, alle code di numerosi gatti che spaventati, fuggendo in ogni angolo e anfratto del paese, si rifugiarono nei numerosi fienili (ogni casa ne aveva uno) del centro di Borno appiccando così il fuoco a tutto il borgo. Fu un grande e devastante incendio che distrusse gran parte delle abitazioni e stalle e che non contribuì certo a sedare l'odio tra le due valli anzi le scaramucce si fecero ancora più frequenti e cruente e fu soltanto nel 1682 che l'arbitrato di un altro Federici (di Darfo), incaricato direttamente dal "Capitanio di Valle Camonica" pose fine alla complessa serie di cause. Da allora tra Borno e la Valle di Scalve non ci furono più atti di violenza organizzata ma le secolari liti tra mandriani e boscaioli delle due parti furono ancora ricordate e raccontate, alle nuove generazioni, per molti anni durante le lunghe sere d'inverno passate al caldo nelle stalle. A quell'epoca Borno era ritenuto uno dei centri più popolosi e ricchi della Valle Camonica: nel 1610 il Lezze, nel suo accurato e noto "Catastico" (censimento della Valle Camonica) redatto su incarico della Serenissima Repubblica Veneta, faceva una minuziosa descrizione delle estese terre di Borno e della sua popolazione che era dedita all'agricoltura, allo sfruttamento dei pascoli ed alla produzione di lane definite "assai buonissime". Da sempre (si ritiene fin da epoca romana) Borno, per la sua collocazione su uno splendido altopiano che riceve l'insolazione dalle primissime ore dell'alba fino al tramonto, forse il primo in assoluto in Valle Camonica, fu anche centro di villeggiatura e per questo che vennero costruite, anche in tempi diversi, alcune ville e case signorili. In tempi più recenti i "Siòri" (signori), così erano chiamati i benestanti o ricchi che, come era alla moda, trascorrevano il periodo estivo sull'altopiano, costruirono belle dimore che furono circondate da bei parchi privati: esempio di questa "moda" rimane villa Giudetti, che ancora fa bella mostra di se sulla circonvallazione sud del paese. Altre "ville" sono state trasformate in civili abitazioni o residence e condomini. Queste "villeggiature" estive di "elite" che vedevano protagoniste alcune famiglie bresciane, milanesi e cremonesi raggiunsero il massimo fulgore intorno agli anni 50 e 60 per poi perdersi (miseramente) per l'avvenuto cambiamento del "modo di fare turismo". Gli amministratori locali, sul vento della politica nazionale che incentivava il turismo di investimento nelle seconde case e nei condomini nei centri di villeggiatura, e che vedeva protagonisti i ceti medio-bassi, vollero adottare le linee di sviluppo urbanistico popolare che andavano di moda negli anni 60 e 70. Oltre all'allontanamento dei ceti più elevati dalle molte località invase dalle masse (e la ricerca di questi di località sempre più esclusive), questa politica produsse, a Borno, una diffusa e poco controllata cementificazione che, ampliando enormemente l'antico borgo ha fatto tanti danni (estetici e patrimoniali) sia nel centro storico che nella sempre più vasta cintura periferica. La quasi completa cancellazione di campi, dei prati e dei "broli" (aie, giardini e orti) all'interno dell'abitato, che erano i veri polmoni tra le antiche e "naturali" abitazioni e la perdita delle coltivazioni che circondavano il vecchio paese di Borno, sono state indicative della politica adottata dagli amministratori locali che hanno puntato (forse a torto) su un sviluppo enorme delle seconde case. Questo porta la popolazione di Borno (che conta circa 2700 residenti), in certi brevi concentrati periodi dell'anno (agosto e ferie di fine anno) a punte di 20.000 e addirittura 30.000 presenze. Ricchissimo di vaste abetaie e di segherie Borno fu importante centro della lavorazione del legno e per questo divenne fulcro di importanti commesse e forniture di legname durante il periodo della dominazione della Repubblica Veneta e successivamente sotto l'Impero Austro-Ungarico. Durante la Prima Guerra mondiale da Borno partì molto legname lavorato a travi per le trincee e i ponti della prima linea anche sul non lontano fronte dell'Adamello. Nel secondo dopoguerra dapprima timidamente, poi, dagli anni '50 la vocazione turistica ha portato Borno ad essere annoverato tra le più importanti e significative stazioni di soggiorno estivo. Dagli anni '70 anche il turismo invernale divenne protagonista sulle pendici del Monte Altissimo e questo avvenne con la costruzione di una funivia (ovovia) e di numerosi impianti di risalita per piste per lo sci alpino e per lo sci di fondo. Borno, posta a circa 1000 metri di altitudine è alla quota ideale e per i servizi offerti è stata scelta più volte per i ritiri sportivi di precampionato di importanti squadre di calcio di serie A e B. In località Croce di Salven sorsero anche importanti centri di cura per malattie respiratorie (i "Sanatori", che diedero nome a una località posta sulla antichissima strada che collegava sia la media Valle Camonica passando per località Prave sia per la Val di Scalve). Questi grandi edifici, che dalla loro dismissione avrebbero potuto essere adibiti a molti scopi (progetti per alberghi, per scuole e università private, per centri sportivi ne sono stati fatti a decine) sono stati chiusi negli anni '60 e desolatamente abbandonati al degrado dagli anni '70.